La materia prima da sempre considerata indicatore dell’attività economica è il greggio, il cui prezzo è sugli 80 dollari al barile dopo aver toccato i 120 dollari a giugno. Il sentiment nel mercato del greggio rimane debole, colpito duramente dall’aggressiva stretta monetaria da parte delle banche centrali, mentre cercavano di controllare l’inflazione ai massimi storici, a scapito della crescita futura.
Cosa segnala il prezzo del petrolio? Un’evidente prospettiva economica in raffreddamento.
A ben guardare, con i dati relativi ai PIL delle varie macro aree, sarebbe facile attendersi prezzi ben superiori a quelli attuali. Un prezzo di 80 euro sulla principale fonte combustibile non può da sola alimentare la dinamica inflattiva tale da giustificare i prezzi in rialzo di qualsiasi bene o servizio.
Un esempio? Negli Stati Uniti il prezzo del legno ha subito rialzi dell’800% prima dell’inizio della guerra, costringendo gli USA a importare la materia prima dall’Europa a prezzi più vantaggiosi.
Questo dimostra che la dinamica inflattiva sia stata utilizzata durante il lockdown dalle scelte mondiali di politica monetaria e solo oggi inizia a presentare il conto.
Le ipotesi per provare a spiegare come sia possibile una simile corsa dei prezzi sono due.
- Le banche, dopo aver immesso in circolazione molta liquidità, si sono trovate a dover correre ai ripari, accettando una breve ma intensa recessione come sta accadendo;
- Le stesse banche, in una sorta di scacco matto, non hanno possibilità di muoversi e, di pari passo, la crescita dell’inflazione è solo all’inizio.
Viene da chiedersi quante possibilità ci siano che, alzando così velocemente i tassi d’interesse, l’economia non si contragga bruscamente. Oppure quanto tempo la dinamica inflazionistica ci metterà a invertirsi, dopo essere arrivati in ritardo sul primo intervento nella curva dei tassi?
Osservando gli indici mondiali, dall’inizio del conflitto bellico l’indice Dax, relativo all’economia che più avrebbe dovuto soffrire del blocco delle forniture di gas russo, ha perso solo nell’ultima settimana il fantomatico supporto ai 12500 punti, dopo essere rimbalzato nei mesi successivi.
Medesima dinamica è possibile riscontrarla sugli indici Made in Usa.
Anche il Dow Jones è sceso al di sotto dei 29200 punti, ove si trovava prima che il mondo fosse stravolto dalla pandemia: per il Dow Jones si profila la possibilità di un tentativo di rimbalzo che se fallito, riapre i punti di approdo ai 28000, chiaramente in dinamica di downtrend.
Ma tornando all’inflazione, probabilmente l’impatto delle politiche monetarie inizierà a dipanare i propri effetti recessivi. La speranza che i prezzi inizino a contrarsi, al momento, viene affievolita dal dato europeo che segna un rialzo del 10% , maggiore del previsto.
Il fronte politico è ora tenuto a sostenere le imprese e a tamponare i rincari delle bollette; questo intervento, inutile dirlo, va in direzione contraria rispetto alle necessità delle banche centrali di contenere le domande, complicando notevolmente gli scenari.
sempre bene !!!!!!